MISSIONE UMANITARIA UCRAINA 2022
È giunta a termine con successo la missione di solidarietà al popolo ucraino promossa da Confartigianato Alto Milanese insieme a Vab Lombardia, Totheborder e al Giornale di Legnano. Lo scorso 12 aprile, martedì, un gruppo di volontari partito da Legnano è arrivato dopo più di 1.600 chilometri di viaggio nella città polacca di Przemyśl, al confine tra Polonia e Ucraina, per portare in Italia 45 persone, in buona parte provenienti da Leopoli (nella foto in alto, il raggruppamento dei profughi alla stazione di Przemyśl; sotto, uno dei bambini in fuga dalla guerra; foto di Erik Colombo).
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Questo progetto fotografico nasce da una convergenza di ideali, volontà di fare del bene e per aiutare 45 profughi, per lo più donne, anziani e bambini, a fuggire dalle grinfie della spietata guerra che sta distruggendo il loro paese. Tramite Confartigianato Alto Milanese, VAB, Totheborder e al Giornale di Legnano questi profughi sono riusciti a cambiare vita, attraverso questo viaggio della speranza. Ora queste persone sono ospitate da famiglie affidatarie o in ospitati in centri di accoglienza in attesa di una soluzione definitiva. Qui viene insegnato loro l’italiano e avranno l’occasione di inserirsi nel mondo del lavoro, ai bambini di andare a scuola e di seminare le loro speranze nel nostro bel paese, con la speranza di raccogliere i frutti del loro futuro.
SPONSOR DELLA MISSIONE UMANITARIA
IL VIAGGIO DI OLTRE 300km
Il viaggio è iniziato da Castano Primo, sede dell’azienda di Autobus Boldini, che ha messo a disposizione un pullman da 50 posti per questo lungo viaggio. Abbiamo dovuto affrontare un viaggio di 23 ore circa, pause comprese, attraversando il confine italico a Tarvisio per entrare successivamente in Austria, Repubblica Cieca e infine arrivare in Polonia, dopo bel 1600km totali.
LA STAZIONE DI PRZEMYŚL
Appena arrivati alla stazione siamo stati subito accolti dai militari che, con un organizzazione davvero lodevole, ci hanno permesso di eseguire al meglio il nostro compito. Non appena sono entrato nell’edificio principale, mi si è stretto il cuore. Nella sala principale c’erano una quantità indefinita di persone che erano visibilmente spaventati e sotto shock, persone che avevano appena lasciato il loro paese, per lo più provenienti dalla vicina Leopoli. Valigie che normalmente venivano utilizzate per una piacevole vacanza ora contenevano le vite di quei profughi, i loro sogni, le loro speranze e le loro paure. Inizialmente non sono riuscito a scattare, ero veramente immerso anima e corpo nella situazione, ma dopo un attimo di sgomento, ho deciso di prendere coraggio e iniziare il mio lavoro di reporter. Alcuni di loro non volevano essere fotografati, altri invece non hanno “opposto resistenza”, ho cercato di rispettare tutti evitando di fotografare delle scene troppo crude a mio avviso, come persone che rigettavano (probabilmente a causa dello stress) e situazioni simili.
Dai treni continuavano a scendere persone, come fosse una fiuamana senza fine, davvero una situazione forte.
LA PUREZZA DEGLI INNOCENTI
La cosa che più mi ha colpito è stata vedere come le differenti generazioni reagivano a questo dramma, mi spiego meglio. Quella bolgia di sguardi era un ricettacolo di emozioni controverse: rabbia, paura, sgomento, ansia, incoscienza.
Su quest’ultima mi vorrei focalizzare maggiormente perché ho vissuto una scena a mio avviso anacronistica.
Poco dopo essere entrato nella struttura, la mia attenzione fu richiamata da due bambine dallo sguardo gentile, così decisi di avvicinarmi. La madre mi sorrise e le bambine lo fecero di riflesso, e fu in quel momento che mi si aprì il cuore. Una di esse mi tirò una palla di gomma e mi invitò a giocare con loro, e così feci, dimenticandomi per un attimo il reale motivo della mia visita. Qui ho scattato, a mio avviso, una delle fotografie più belle che potessi mai realizzare, con le due bambine che giocano a palla all’interno di una stazione che accoglieva profughi di guerra, vi lascio la fotografia a pieno schermo qui sotto.
L’ESPERIENZA DEL REPORTAGE
Vorrei dividere questo paragrafo e raccontarvelo da due punti di vista, fotografico e umano.
Partendo da quello fotografico devo dire che è stato un’esperienza bellissima dove ho avuto il piacere e il coraggio di mettermi in gioco, di vivere con i miei occhi una situazione reale e concreta, ben lontana da altri generi fotografici. Il fotoreporter ha il compito di raccontare la realtà dal suo punto di vista e ha il dovere di essere veritiero, soprattutto di mostrare il suo punto di vista e così ho fatto, ho raccontato la speranza di un popolo coraggioso e tenace che non smetterà mai di lottare per la propria terra.
Dal punto di vista umano invece ne esco arricchito, la mia empatia ha raggiunto livelli davvero che non credevo possibili, le loro emozioni erano diventate le mie, eravamo allineati. Infatti, in molte occasioni, era come se fossi un volontario. Fornivo loro cibo, acqua, coperte, materiali di prima necessità e aiutavo a comunicare con i profughi in inglese dando loor istruzioni su cosa fare e quando, quasi dimenticandomi della macchina fotografica.
Un’esperienza pesante, formativa e adatta a chi ha lo stomaco forte.